Project Description
Lo storico quartiere Anime Sante, reticolo di stradine e vicoli, prende il nome dell’omonima chiesa sorta a Bagheria nella seconda metà del Settecento. Zona di fabbri, mastri d’ascia e carrettieri, rappresentava il cuore di quella artistica catena di montaggio necessaria ad assemblare la vettura che, più di ogni altro simbolo, esprime lo spirito creativo di tutto un popolo: il carretto siciliano, che il francese Guy de Maupassant, sbarcato a Palermo nella primavera del 1885, ammirandone il valore degli elementi decorativi, definì ‘un rebus che cammina’. La storia del carretto siciliano si intreccia alla nascita delle prime strade extraurbane dell’Isola. Fino al ‘700, lo scarso sviluppo della viabilità interna aveva limitato i trasporti al dorso degli animali. Il carretto, robusto e con ruote molto alte, venne creato per superare gli ostacoli delle Regie Trazzere, strade di collegamento interne formate da larghi sentieri a fondo naturale, con salite ripidissime, curve a gomito, disseminate di buche. A percorrere queste vie impervie erano i carretti poveri, privi di qualsiasi pittura o affreschi ma solo con qualche intaglio a motivi floreali, utilizzati per trasportare pietre, attrezzi da lavoro, persone e tutto ciò che era necessario ai lavori nei campi.
Curatissima in ogni dettaglio, sia artistico che tecnico, invece, la versione aristocratica del carretto, impegnava carrozzieri, carradori, intagliatori, fonditori, fabbri, pittori, decoratori e pellettieri specializzati. La fuoriserie siciliana dell’Ottocento presentava anche i raggi delle ruote finemente scolpiti e scanalature, le pizziature, fatte per trattenere le corde che legavano il carico, al fine di limitarne l’intralcio. La forma leggermente conica della ruota, inoltre, era progettata per andare perfettamente in asse, quando il cassone veniva gravato dal peso. Sostituito dall’attività motorizzata degli autotrasportatori, il mestiere di carrettiere scompare insieme all’uso del carretto, ma la zona Anime Sante rimane il quartier generale della tradizione.
Gli armiggi del cavallo, i finimenti decorati di testiera, pettorale, sellone – per citare i più rappresentativi – rappresentano l’altra fondamentale attività artigianale legata alla storia del carretto. Un tripudio di frange, specchietti, fibbie e sonaglini fanno da bordatura a ricami fantasiosi realizzati interamente a mano. Le strutture, internamente foderate in pelle d’agnello, garantiscono il comfort del cavallo, animale caratterialmente vanitoso e vistosamente fiero di indossare il prêt-à-porter dell’alta moda equina. Nel suo laboratorio affacciato sulla strada, Melchiorre Di Salvo realizza con dedizione certosina capolavori in lana e seta con telai autocostruiti. Le possenti mani di Melchiorre muovono con leggerezza ago e filo creando finissimi ricami a punto d’ago e punto boulogne in cui a prevalere sono i colori rosso e oro. Si avvale delle tecniche apprese all’Istituto d’arte, ma soprattutto, dell’esperienza fatta presso i mastri dove da ragazzino andava a curiosare il lento intrecciarsi di quei ghirigori su codiere, sottopancie, redini e pararedini. Per riprodurre quel filato di antica e robusta fattura, ormai introvabile, Melchiorre intreccia da sé i fili di seta cotone e metallo, ne prova la resistenza mettendoli a bagno in acqua, infine li utilizza per creare i decori in cui propone le icone della tradizione come la trinacria, serpenti dalla lingua biforcuta, grifoni e danzatrici, aggiungendovi quel côté artistico acquisito attraverso una ricerca sui materiali, ormai trentennale. Le ricche bardature che esaltano il cavallo sotto il punto di vista scenografico, comportano un impegno in termini di costi e dedizione pari alla costruzione di un carretto, dove i decori vengono eseguiti anche nelle parti nascoste. Persino per a zuotta, il frustino si usa esclusivamente legno d’agghiastru (olivo). Il ramo da destinare allo scopo deve essere ben dritto e con i nodi a misura, va tagliato a gennaio, quando la pianta ‘dorme’ ossia contiene meno linfa. Il ramo si fuchia, si mette alla fiamma per annerire la punta dei nodi, infine viene lasciato stagionare. Nel 1881, durante l’esposizione di Milano alla quale parteciparono oltre 7000 espositori provenienti da tutta Italia, il carretto ospitato nella sezione ‘Manifatture caratteristiche delle regioni d’Italia’, incantò talmente i milanesi, che vollero trattenerlo in uno dei loro musei. A distanza di oltre un secolo, nonostante il mutamento di gusti e costumi, l’intramontabile fascino del carretto siciliano in esposizione all’Expò 2015 bisserebbe l’antico successo, stavolta, scatenando una contesa tra i musei di tutto il mondo.